sabato 13 settembre 2014

Gli ultimi giorni di Pompeo

Sono Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza. Ho 24 anni, sono alto 1 metro e 86 centimetri e peso 75 chili
Non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno. E' ancora presto, per il giorno, quando gli occhi s'imbevono di pianto, i miei occhi di pianto...             

 (Banco del Mutuo Soccorso)
Gli ultimi
giorni    di Pompi

         di Matteo Tassinari
"Vivo sulla lama, mi commuovo nei bassifondi, parlo coi ricercati dallo Stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi, rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi mi faccio, e tutto torna bello, più splendente di prima! L'alternativa è la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo, lo studio, l'amorosa ricerca, lo scemo naturale, il simpatico, l’antipatica, due più due fa quattro, sveglia alle otto, viaggi, incidenti in pullman, Milano, cene d’affari e non valgono quei personaggi più di quegl'altri, mutuati della felicità. Palle anche lì, palle peggio di qua. Vuoi mettere risorgere, risorgere, risorgere…". (A.P.)   
La       grande
Mesizia

Molto prima  che Trainspotting, libro di Irvine Welsh e poi film di Danny Boyle, celebrasse con sarcasmo le virtù dell’eroina a livello specifico, Andrea Pazienza firma quest’amarissimo ritratto, Pompeo, di vita tossica postmoderna nella conclusione di uno dei capitoli più duri di Pompeo. Uscito a puntate su Alter Alter a partire da aprile 1985 e poi in libro per Editori del Grifo due anni più tardi, Pompeo nasce sulle macerie della vita che Paz mena negli ultimi tempi a Bologna e che nel mio piccolo, per qualche annetto, ho menato pure io. Siamo fra il 1983 e il 1984, io l’anticipai, iniziai nel 1979, cessando la furiosa attività endovenosa nel 1983 in una Forlì che sembrava Cantù, le uniche città italiane con l’accento in questo favoloso sito chiamato Italia, Cefalù a parte.
Gniek!
Pompeo
La vera partita persa non risiede tanto nelle sua arte espressa che è già un tesoro, ma nella terribile consapevolezza della sconfitta di fronte al magico, quanto folle, mondo delle polveri. Non so se sia possibile rappresentare il caos mentale di un tossicodipendente, il suo dolore, la sua solitudine, le sue paure che presenta a chiunque per intero. In ogni caso penso che Pompeo sia il tentativo più riuscito nel cercare di offrire l’esistenza estinta di un tipo di tossicodipendente. Pompeo è la sofferenza esasperata e incomunicabile di un tossicodipendente da eroina, narra la routine e lo stillicidio dell’insegnante di fumetto Pompeo nei suoi ultimi giorni di vita e la sua morte annunciata. E' una morte fra il volere di smettere di soffrire e alla ricerca di un posto migliore, di quelli dove tutti ci ritroviamo senza sapere perché. Molti lo scoprono dopo, e chi non l’ha scoperto s’è ridotto male. Paz, t'arricchiva, a prenderlo per il suo lato, non stiamo parlando mica di Giuseppe Piromalli di Belluno di anni 57 dipendente comunale con tutto il rispetto per Piromalli che conosco da una vita.
ANDREA PAZIENZA E L'ERA ZIO FEININGER
Nel  frattempo 
Andrea tiene lezioni di fumetto all’Istituto Tecnico Aldini Valeriani a Bologna. La crème bolognese del fumetto aveva dato vita alla "Scuola Zio Feininger", nome scelto in omaggio al pittore americano (ma di origine tedesca) Lyonel Feininger, che a inizio Novecento si era dedicato al fumetto per poi passare Bauhaus di Walter Gropius. Pompeo corre alla scuola. L’istituto è enorme, corridoi, la segnaletica inesistente. Qui e lì, s’illuminano le aule di vari corsi serali. Pompeo va nel cesso a farsi una pera. La sesta dalla mattina. La seconda classe è come una vagina, un pubblico per lui che è rimasto solo. Parla, parla, parla. Si crede un poeta. Fattissimo, non può durare. E non durerà. Che incubo. Fattissimo. Non può durare. Esce anche da questa ora di lezione abbottonandosi la patta. Dà il cambio ad un altro. È la primavera dell’84.

 INIZIATE da META’

Mucchio
feroce
A quei
banchi, 
da dove un’allieva si rimira Pompeo con sognanti e pupille a forma di cuore, siedono brocchi conclamati e giovani speranze del fumetto italiano come Francesca Ghermandi, Giuseppe Palumbo, Otto Gabos, Davide Toffolo. Toffolo, che oggi si divide fra il disegno e il rock dei suoi “Tre allegri ragazzi morti”, ha firmato un appassionato ricordo del suo professore su “Mucchio Selvaggio”, da sempre fucina di ottime firme, tra cui la mia. Lo spunto è l’impossibilità, di esportare Pazienza all’estero, l’intraducibilità delle sue opere, ma anche la difficoltà di irreggimentarne la creatività secondo i criteri formali del lettering e degli spazi in pagina, spazi vuoti per la pubblicità e tanto altro. Scrive Toffolo: “Andrea non ha mai pensato di parlare a nessuno diverso da se stesso, tanto meno a un francese o a un americano. La lingua era il fumetto. La pancia era padrona del talento. “Mai pensare ai soldi durante il lavoro. O prima o dopo”.


Questa massima
pazienziana, recitata con la solita enfasi connessa allo sberleffo ironico talentuoso, non è mai gratis, la devi conquistare stando con la gente, affrontandola, giocandoci, ammirandola, fregarsene, offenderla o stimolarla. Vive il dramma di una sensibilità enorme con la leggerezza della farfalla incapace di volare. Mi viene da pensare che prima ha volato molto  in alto il Paz, dimostrando la leggerezza, la libertà, l'innovazione di un vero poeta, con le sue tavole e la poesia circoscritta in esse. Questo è ritmo, segno, parola, chiaro e scuro, obliquo o paralleli perpendicolari, linee informe tracciate sul foglio, come a partorire l'ennesimo capolavoro, l'opera maestra, apice, culmine, massimo, la meravigliosa pugnalata: "Stronzo!!! E se avessi l'aids!", urla Pompeo in down e ferito nel cuore dalle regole di base che deturpano ogni originalità. E cosa resta infine della poesia tradotta? Poco.
          Le semplici regole
Ci sono cose che non dimentichi, mai, una a caso: “Se volete che un fumetto (di 8 pagine ad es.) appaia omogeneo senza far percepire che avete affinato i personaggi man mano che li disegnate, o al contrario che arrivate esausti alla fine con un calo di qualità, fate così: INIZIATE da META’! Arrivate alla fine e poi disegnate le prime tavole.” Questo modo immediato di affrontare la tavola definitiva è tipico del Paz, la carta è il catino dove riversare (col pennarello) quello che nella mente è stato velocemente processato, sintetizzato, armonizzato con un unico fine: ipnotizzare il lettore.
GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEO 
 Bazooka
Condannato all’eterno ritardo, incontri presi e a volte non c'andava, molti criticavano questo suo atteggiamento: “Cazzo, a come fai a non capire, c’era lei, poi dovevo andare a consegnare 100 tavole a Frigidaire, ritirare mezzo milione da Dal mio editore, Paolo mi rompeva i coglioni dal mattino per le scarpe, pioveva, avevo freddo, tremavo” e mi fermo qui, perché sembrava davvero John Belushi in “Blues brothers” quando deve giustificare alla moglie col bazooka.

Pompy è

stanco

stinco
Andrea aveva un maglione blù scuro a frange con perline e finte Timberland. Era esuberante, ed era anche solissimo. Credo che combattesse battaglie tremende, come tutti noi del resto, ma penso che ci siano persone che avvertano maggiormente la percezione del disagio che gli ruota attorno all’esistenza. Racconta la Ghermandi: “L’atmosfera delle lezioni era un po’ da freaks. Ricordo, a proposito delle ragazze che gli ronzavano intorno”. Una tipa sempre vestita di azzurrino, dal nome inverosimile, molto innamorata di lui. Andrea diceva che questa andava a casa sua e lo rimproverava dicendo: “scopi con tutte e con me no. Perché?”. Bella domanda. Manca poco Pompi, tieni la botta!
GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEO 
    Come rispondi    ad  una domanda    così?
Quando sai analizzare cose e persone al’impronta, immediatamente e senza sbagliare, è ovvio che ne può uscire una critica eccessiva come estremamente benevola. Le lezioni erano sempre improvvisate, una volta disse: “Disegnate le cose a volo d’uccello”, intendendo dire di guardare il mondo dal punto di vista di un uccello in volo e cominciava a disegnare col pennarello su una lavagna bianca ai 500 all’ora un affresco grande 5 metri per 10 di colori, cavalli, fiumi, montagne, cavalieri e puledri in impennata. Magari si trattava di qualcosa su cui stava lavorando fino a poco tempo prima.
 Il Tocco Supremo
Ci  mostrava il suo modo di lavorare che non è stata cosa per tutti, anzi solo per alcuni, pochissimi, quasi nessuno, oltre a lui e forse due o tre Paz che verranno fuori chissà quando. Il tratto supremo, non consisteva nel disegnare in sequenza, da una vignetta a quelle successive. Lavorava su una vignetta e poi passava ad un’altra che si trovava da tutt’altra parte nella pagina. E insisteva su questa cosa del kendo, del disegnare con lo stomaco con la pancia, colpire al cuore nell’estremo momento della stanchezza. Vederlo lavorare era un evento, un momento altro e alto, un’esposizione dove anche i cavilli, i dettagli più minuti, più piccoli, sembravano essere trascurati, poi dopo un’ora, la preziosa tela s’era arricchita di ogni visione impossibile ai più. Arrivava con una spatola e gli dava il colpo d’ascia del mestiere, dell’artista, quel rapsodo talento raccontato con una lingua lirica e simbolista.

GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEO 
POMPEO
NEI TESTI
E' scontato che Pompeo sia la rappresentazione artistica meglio riuscita su come si vive la eroina, e io o posso dire. Meglio "Degli ultimi giorni di Pompeo" nessuno seppe mai raccontare così dettagliatamente l'esistenza di un tossicodipendente del 1980Tutti rudimenti che fanno di Pompeo un vero capolavoro privo dello scorrere lento del tempo. Visionario, ricchissimo di citazioni, testi, ipertesti, rimandi concettuali e slang puro in 180 pagine. Gli ultimi giorni di Pompeo è un testo da proporre in tutti gli istituti scolastici superiori, se si desidera raccontare, senza cader nella banalità o i soliti luoghi comuni triti e ritriti, senza sconti, ai prossimi uomini cosa sia la tossicodipendenza, cosa sia la spirale di eccitazione e nichilismo, in contemporanea che l’abbraccia stringendolo fino allo stritolamento chi ne fa uso e abuso. Un essere umano, in preda all’eroina, è una tortura che voi non sapete. Non potete immaginare quel che si prova. Solo chi ha vissuto quei momenti down da eroina e metadone, "robe" da correre e sbattere la testa contro le pareti e sentire un freddo anche con tre maglioni addosso e un plet di lana che copre inutilmente il corpo di Pompy.
Escursioninconsce

Pompeo è un magma vulcanico, un’escursione nell’inconscio connesso al tormento, all’angoscia di chi capisce che non ce la fa più e la mestizia albeggia come ogni santo giorno. Allegato a quel genere di stile di vita, cronaca di un’esistenza cadenzata dalle dosi, dai soldi, le siringhe, conflitti mentali, collera inespressa per provare a divorarsi fino a riuscirci e dalla presunzione che ti poneva in condizione di non cedere tutto al senso di colpa e scaricare qualcosa a qualcuno. La fine degli anni ‘70 e l’inizio dei miserrimmi anni 80 comparve l’Aids e noi inconsapevoli l'abbracciammo quasi tutti, perché non volevamo farci mancare nulla o forse volevamo superare Louis Ferdinand Celìne nei nostri viaggi notturni e molti ce l’hanno fatta, tra cui io. Ricorderò sempre per sicurezza che tutti gli episodi di cui parlo, sono accaduti nel 1983 e ora ho la fedina penale pulita come il culetto di un bambino di un mese appena pulito dalla mamma.

Una depressione bollente,
pustole ustionate da ecchimosi gonfie come becchi di zanzare del Congo, grandi come farfalle per le nostre tenere carni, vene comprese. Un’immensa altalena tra Paradiso e Inferno, dove adesso godi e ti sembra di aver risolto tutto con una botta, poi dopo cinque orette torni il pirla di prima, pronto a fare tutto ciò che non si sarebbe fatto per nessuna ragione al mondo. La storia di Pompeo è la storia di Andrea in definitiva, di una progenia geniale, triste quanto tribolata, brillante, originale quanto afflitta, sventurata, estrosa quanto bizzarra. 

Andrea muore il 16 giugno del 1988, a 32 anni e il cielo s’intristì. Qualcuno di irripetibile, ch'era riuscito, per davvero, a raccontare l’irrequietezza ai sognatori del Dams, dell’università, dei mercatini all’aperto, di chi in strada ci viveva, illusi idealmente quanto utopisti per mestiere, disincantati per vocazione ed eroinomani per necessità aggiunta. La ribellione di una generazione che, come scrisse Tondelli: “non era stata capace di credere veramente in nulla, se non nella propria distruzione”.
PIER VITTORIO TONDELLI 
Nella postilla finale dell’opera, il Paz scrisse: “Così finisce l'ultima puntata di Pompeo e, presumo, anche un lungo capitolo della mia vita". Questi s’era aperto ‘fumettisticamente’ nel settantasette con Pentothal (del quale Pompeo è forse l’alter ego invecchiato) e, tra alti e bassi, chiude adesso, nove anni dopo.
Paz: "anni, che come si dice, sono volati"
PoMPEO paz
"Cari voi che mi avete seguito fin qui, così finisce l'ultima puntata di Pompeo e, presumo, anche un lungo capitolo della mia vita". Andrea.
 Come se fosse stato spintonato,
ultimo, doloroso, script prendo da: "Gli ultimi giorni di Pompeo"

domenica 7 settembre 2014

Wu Ming, la Storia come follia e rappresentazione

di Franco (Bifo) Berardi*
La Storia 
   come
follia e come rappresentazione
Dice Deleueze,   filosofo francese
nel suo abbecedario, otto ore di dialogo con Claire Parnet, che è chiaro il richiamo al fatto che tutte le rivoluzioni falliscono, tutte. Chi fa la rivoluzione per vincerla, è un ingenuo o un mascalzone. Gli ingenui, coloro che pensano che la rivoluzione faccia passare il mal di denti sono delusi perché il mal di denti non gli è passato e qualche volta anzi va peggio. I mascalzoni prendono il potere e la loro la vittoria è per l’appunto la sconfitta della rivoluzione.
   Allora
   perché
abbiamo partecipato a tutte le rivoluzioni che ci capitavano a tiro in questi ultimi duecento anni, e perché volentieri parteciperemmo alla prossima, se ci fosse? Interessanti, dice Deleuze ancora, non sono le rivoluzioni, ma quel che capita ai rivoluzionari, o meglio quel che cambia nelle loro vite. Ribellarsi, organizzarsi, immaginare soluzioni strampalate, darsi appuntamento nel cuore della notte, bastonare l’assassino che ti ha ammazzato il fratello. Alla fine il mal di denti non se n’è andato, ma stai pensando ad altro e al mal di denti non ci pensi più.
Prender
parte
al  movimento
rivoluzionario significa capire che la tua vita non è scritta nei piani del potere, ma puoi scriverla tu, almeno fino a un certo punto. Tutto si gioca su quel certo punto. La felicità individuale, la giustizia collettiva, un grado di eguaglianza crescente, la forza nascente dalla fratellanza, l’amicizia che si fa regola dei rapporti fra persone.
Gilles Deleuze
Ma quanto   tempo
Ma quanto tempo passa prima che i padroni riprendano il sopravvento, prima che la fratellanza si incrini, prima che il mal di denti torni a farsi sentire? Falla durare, mantieni i padroni a distanza, non subire lo sfruttamento per tutta la tua vita. E' l’utopia realizzata, anche se la rivoluzione non vince mai. La rivoluzione ti insegna che è possibile una linea di fuga dall’inferno terrestre.
Wu Ming è un collettivo di scrittori divenuto celebre con il romanzo Q. A differenza dello pseudonimo Luther Blissett, Wu Ming indica un preciso nucleo di persone, attivo e presente sulle scene culturali da diversi anni. Il gruppo è autore di numerosi romanzi, tradotti e pubblicati in molti paesi. Nel 2008, dal 1993, il collettivo d'autori, descrisse parte della propria produzione come appartenente ad un corpus di romanzi definiti poi New-Italian-Epic.


























Mitopoiesi e
genealogia
L'armata       dei 
sonnambuli
E' (per    ora) l’ultimo libro dei Wu Ming, un gruppo di scrittori senza nome che discende da una ormai lunga storia che comincia con i Luther Blissett nella seconda metà del decennio ’90. L’ultimo in ordine di tempo, prima che l’immaginazione narrativa di quella piccola banda inventi un altro mondo e un altro tempo. Ma anche l’ultimo di un ciclo lungo che costituisce forse la più grande impresa epica nella letteratura del nostro tempo. L’opera dei Luther Blissett, poi divenuti Wu Ming, costituisce una sorta di ricostruzione della mitopoiesi moderna, una rivisitazione genealogica (nel senso propriamente foucaultiano) delle narrazioni che sono il mito su cui si fondano e si motivano i processi di soggettivazione. Mitopoiesi, è l’azione che costruisce narrazioni condivise dov'è possibile riconoscere il passato, il destino, presente, utopia, aspirazione, collettivi, movimenti.

Narrazioni 
condivise
Alla fine del secolo  scorso, quando ancora si firmavano Luther Blissett, con una composizione leggermente diversa da quella con cui oggi si firmano Wu Ming, questa piccola band letteraria pubblicò il romanzo Q che ottenne un vasto successo di pubblico. Subito dopo il gruppetto compì un gesto assolutamente irragionevole. Affermare un nome, un’etichetta, è l’operazione più difficile per uno scrittore esordiente. Loro ci riuscirono al primo colpo, poi cambiarono nome con sublime sprezzo delle regole del marketing. Presero un nuovo nome che significa non-nome, e continuarono con una serie di romanzi tra i quali a mio parere eccellono “54”, “New thing”, “Altai”.

Michel Focault
    Un'epigrafe foucaultiana 
apre L’Armata dei sonnambuli. Foucault è il riferimento filosofico e culturale di molte delle scelte narrative di molte ambientazioni, riferimenti in questo libro dedicato alla Rivoluzione Francese. Se il contributo di questi scrittori consiste in una sorta di genealogia della mitopoiesi moderna, il contributo di Foucault si è manifestato in forma di genealogia dell’episteme moderna. Sia la mitopoiesi della piccola banda sia l’episteme foucaultiana hanno come centro pulsante la corporeità, il corpo che parla, manda segni, dissemina segni nella sofferenza, nell’esaltazione, follia e rappresentazione.
Sono passati 225 anni dalla presa della Bastiglia, carcere di Parigi, che restò il gesto simbolo della rivoluzione francese, dipinto di Jean-Pierre Houël (1789)
E non    c'è
niente da capire
Ho letto   molto della Rivoluzione francese, eppure non posso dire di aver mai capito gran che: perché un giorno Robespierre è il capo riconosciuto e amato e il giorno dopo gli vogliono far la pelle perfino molti dei suoi sostenitori? perché si prendevano decisioni che non avevano alcun senso e perché dopo aver volato sulle ali dell’entusiasmo ci si ritrovava a dover fronteggiare un’imprevista ondata di malinconia popolare o di furibonda violenza? Questo romanzo (puntuale, ricco, preciso dal punto di vista della documentazione storica) mi ha permesso di capire la cosa essenziale: che non c’è proprio niente da capire.




























       Non esiste una legge storica
che   agisca dietro le quinte, non c’è una necessità economica o sociale che diriga i movimenti e la reazione. C’è un palco, su cui si svolge la rappresentazione, e c’è la follia, che muove le sue pedine. Il giorno dopo la chiamiamo storia e ci mettiamo pure la S maiuscola, la Storia. Ma quel giorno lì, nel giorno in cui le cose accadono davvero quel che conta è il dolore individuale e l’illusione collettiva, insomma il flusso di desiderio e di paura che corre attraverso la città. Per raccontare la storia della rivoluzione francese i Wu Ming concentrano l’attenzione narrativa sulla follia e sulla messa in scena.
        Tra    i          personaggi
principali del romanzo ci sono una tricoteuse e un attore: Marie Noziere e Leo Modonnet.  Marie Noziere è una delle tante operaie tessili, sartine e ricamatrici che negli anni della rivoluzione si trasferirono sulla piazza dove la ghigliottina faceva il suo lugubre lavoro. Il corpo di Marie Noziere parla, eccome se parla: parla della violenza sessuale subita da un padrone feudale che la ingravidò poi la scacciò con un figlio, parla dell’amore per un uomo che le è stato portato via dalla guerra, parla della solitudine e della fatica del lavoro e della maternità. E parla anche dell’odio per gli aristocratici, del desiderio di violenza, del desiderio di fargliela pagare col sangue. Quella che gli psichiatri hanno a lungo definito “isteria femminile” viene riletta come espressione politica di un corpo troppo a lungo represso. Si tratta di un corpo sessuato individuale, ma anche di un affollarsi di corpi che stanno sullo sfondo poi a un certo punto si fanno avanti, invadono la scena, si toccano, si battono, si accarezzano.
 La rivoluzione non è che un sentimento
(Pier Paolo Pasolini, da “L'alba meridionale”, 1964)


L’inizio della storia
dell’avanguardia
Leo  Modonnet è un bolognese fuggito a Parigi dove si guadagna la vita facendo l’attore. Nel vortice degli eventi Leo confonde la rappresentazione teatrale con l’azione collettiva, confonde il palco con la strada e il teatro con la vita. Per questo perde il lavoro. Ma perduto il lavoro di attore finalmente può scoprire che un nuovo teatro sta nascendo, un teatro che si fa azione, che entra nella storia collettiva della rivolta così che la rivolta riconosca la propria teatralità, mentre l’arte si fa vita vissuta. Leo diviene Scaramouche per mettere in scena la fusione tra arte teatrale, azione criminale e processo rivoluzionario.
Altra foto famosa di Wu Ming Contingent












La Rivolta è l'URLO
liberatorio       dei CORPI
Ciò che i Wu   Ming descrivono attraverso le vicende di Leo Modonnet è l’inizio della storia dell’avanguardia, collocando la sua prima esplosione nella rivoluzione francese. Questo romanzo racconta la storia delle rivoluzioni moderne come la follia del corpo che cerca il suo linguaggio e lo trova nei manicomi, nelle urla incomprensibili, nella violenza, nell'odore acre dei bagni sporchi, le posizioni di chi è stato vittima di "cure" disumane.
La maggioranza degli psichiatri, oggi,
è favorevole all'elettroshock, shok!

    La rivolta dei corpi
Ma  racconta anche l’altra faccia dell'identico percorso. Racconta la formazione del potere secondo le stesse linee della rivolta. Se la rivolta è follia, anche il potere ha qualcosa a che fare con gli stati alterati della mente, anche il potere trae la sua forza dalla s-ragione. Qui il potere nasce dall’ipnosi. Se la rivolta è liberazione dei corpi, il potere lavora sulla sofferenza dei corpi, sulla paura della libertà e sul bisogno di rassicurazione, di ordine. I narratori ci parlano del rapporto tra Illuminismo e Ipnotismo mesmerista rivisitando alcuni luoghi foucaultiani come i manicomi cittadini, il Bicetre, la Salpetriere, dove i folli mettono in scena il trionfo della ragione.
Il continuo divenire dei disagi del corpo, métamorphose en mouvement 

Follia, ragione, potere
Nel libro    che  porta il titolo Histoire de la follie à l’age classique, Foucault analizza la formazione della società disciplinare moderna attraverso l’intreccio della Ragione e della De-Raison. La follia deve essere nominata, separata, segregata, perché la razionalità borghese possa affermare il suo primato. Ma questo atto di separazione istituisce le due sfere separate (ragione e s-ragione) come se fossero indipendenti, mentre non lo sono affatto. La luce della Ragione è indissociabile dall’oscurità della de-raison: la ragione penetra profondamente negli spazi dell’Inconscio sociale, modellandolo secondo le sue strategie produttive, mentre la s-ragione dilaga negli spazi nascosti della vita quotidiana rivelandosi talora con esplosioni improvvise, e a volte erompe prepotente, dominatrice e maggioritaria. 
La razionalità 
della Storia Moderna
La storia della modernità arrampica proprio lungo questi tornanti della ragione che sottomette la vita, ma anche della ragione che si ribella contro l’oppressione, rivendicando razionali valori di giustizia e di uguaglianza. Questa ragione è però indistricabile dalla follia che permette al corpo incatenato di scatenarsi, e dalla follia che cerca rassicurazione e rifugio e perciò si sottomette all’ipnosi del potere come servitù volontaria. sociale modellandolo, mentre la s-ragione dilaga negli spazi nascosti della vita rivelandosi con esplosioni, talvolta erompe prepotente ed esplosiva, dominatrice, maggioritaria, arrogante e assolutistica. La storia della modernità si arrampica lungo la razionalità che sottomette la vita, ma la ragione che si ribella contro l’oppressione, rivendicando razionali valori di giustizia e uguaglianza. Questa ragione è però indistricabile dalla follia che permette al corpo incatenato di scatenarsi e nella follia cerca rassicurazione e rifugio, perciò si sottomette all’ipnosi del potere come servitù volontaria.
L'incontro tra 
mitopoiesi ed Inconscio


Nell’Inconscio si trova il motore più forte dei processi di identificazione e di espressione collettiva, perché l’inconscio non è un teatro (in cui si svolge un dramma già scritto) bensì un laboratorio in cui le linee del dramma si scrivono collettivamente, nell’andirivieni continuo tra desiderio e interesse, eccitazione e paura. Il conflitto e la fusione di flussi mitopoietici differenti animano questo inconscio. 
Qui agisce  la poesia
Agisce la narrazione, qui agisce la produzione artistica: nel punto di incontro tra mitopoiesi ed inconscio, che è il punto in cui si formano le attese di mondo. Non la speranza, non l’utopia, ma l’attesa di un mondo immaginato e quindi possibile. Costruendo una metafora che ha movenze narrative fantascientifiche, Wu Ming racconta non solo la storia dei tormenti e delle speranze dei rivoluzionari, ma anche quella di un reazionario che vuole restaurare il potere. Non il potere della Monarchia capetingia, retaggi passati ma il potere razionale e produttivo della modernità.
Chi sono i sonnambuli mesmerizzati   e indotti a subire? 
L’armata dei sonnambuli sono le folle dei commuters della subway londinese all’ora di punta, sono le folle che si accalcano all’entrata del supermercato il giorno in cui c’è uno sconto, sono i milioni di oppressi che vanno a votare per il loro oppressore, sono l’immenso pubblico della televisione multiforme e uniforme.
Grazie all’azione ipnotica di un cospiratore reazionario si forma l’armata dei sonnambuli: un esercito di schiavi che si identificano con il loro padrone e ne eseguono ciecamente i disegni perché la loro coscienza e la loro sensibilità sono state ipnotizzate, anestetizzate. Da questo punto di vista il romanzo racconta (anche) il divenire automa dell’umanità moderna.
Perché ribellarsi?
L’armata dei sonnambuli è un libro terribilmente amaro, doloroso, disperato forse.  L’attesa di una società migliore, la pretesa di un governo razionale sul corso degli eventi si rivelano illusioni. Tagliare la testa al re non ci libera dalla fame, e neppure incarcerare gli accaparratori di farina ci permette di avere quello che ci occorre. E proprio dalle rivoluzioni il potere trae la sua potenza. La potenza che le rivoluzioni esprimono, la potenza del lavoro e del teatro, del sapere e del desiderio si ossifica nelle forme sempre nuove del potere. E allora cosa resta? E allora perché ribellarsi?
Ribellarsi all'inganno dello sviluppo sostenibile
   Marie  Martie ad
        un certo               punto
se lo chiede, quando si rende conto del fatto che tutte le speranze suscitate dalla rivoluzione si sono dissolte, quando Robespierre che fino a ieri era il beniamino del popolo e il capo riconosciuto dell’Assemblea viene abbandonato dal popolo e giustiziato per volere dell’assemblea. E Marie Noziere risponde alla sua propria domanda. Risponde che la rivolta serve a sapere che esistiamo, serve a dare un senso alla sofferenza e anche alla sconfitta. Prima non sapevo di esistere e subivo la violenza del potere come se fosse naturale: la rivoluzione mi ha permesso di riconoscermi, ho capito che potevo ribellarmi, ho capito che esisto, che posso rifiutare e quindi cominciare a essere, ho capito che posso posso incontrare altri che come me si ribellano, ho conosciuto l’amicizia, impensabile prima della rivolta. L’esperienza della rivolta rende possibile la costruzione di senso, cioè  quell’indipendenza dal potere che consiste nella coscienza di sé, nel disprezzo e nell’odio. L’esperienza della rivolta rende anche possibile l’amicizia, la tenerezza, l’avventura, sconosciute a chi subisce l’ipnosi del salario, della paura, della legge.

La mobilità
del soggetto
L’Armata dei sonnambuli è anche, forse la più compiuta espressione del metodo di narrazione che prima Luther Blissett poi Wm hanno dichiarato e adottato fin dalla metà del decennio ’90 . Sempre il loro metodo si è fondato sulla mobilità del soggetto narrante e sulla fuga continua dell’identità. I personaggi di Q e di Altai cambiano nome molte volte, durante le loro peripezie, le loro fughe, le loro clandestinità. Geert dal Pozzo, personaggio centrale di Q, ricompare con molti nomi diversi durante le vicende di quel romanzo, per poi ritornare in Altai, invecchiato, ma più lucido e carismatico che mai, sotto il nome di Ismail. Il metodo narrativo di questa banda di scrittori, che non sono soltanto scrittori ma anche molte altre cose, musicisti, ribelli, teorici, storici, e soprattutto compagni, viene fuori con particolare chiarezza dalle pagine di un libretto che ebbe una certa risonanza quando uscì nel 2009 con il titolo New Italian Epic.
New Italian  Epic
“Il punto di vista narrativo continua a slittare da un personaggio all’altro grazie al vecchio espediente del discorso libero indiretto, vecchio ma ancora in grado di sorprendere se usato al momento giusto e con la giusta intensità.” Inoltre, scriveva Wu Ming 1: "il discorso indiretto consiste nell’adottare il punto di vista del personaggio pur continuando a scrivere in 3° persona, nel far sentire la sua voce senza virgolettarla".

Le voci della folla
In realtà  dietro questo espediente ci sta di più che una scelta di tecnica narrativa, ci sta una concezione dello svolgersi storico, che nel libro sulla rivoluzione francese emerge con nettezza. Leggendo questo romanzo è come se ci trovassimo di fronte a una folla dalla quale vengono fuori delle voci che non possiamo identificare in maniera molto precisa, voci che ci raccontano la stessa storia da punti di vista diversi in modo tale che da uno slittamento all’altro la storia procede, si arricchisce di nuove possibilità interpretative, e talvolta presenta contraddizioni irrisolte, irrisolvibili, perché la realtà storica non può essere identificata con alcuna verità interpretativa di ultima istanza.












   Te lo si conta noi
Non solo i   personaggi cambiano nome identità orizzonte, ma la voce narrante si sposta fino al punto che in certi momenti non possiamo identificarne l’origine. L’espressione “te lo si conta noi com’è che andò” diviene quindi una sorta di shifter che permette di spostare sia la scena in cui la narrazione si sta svolgendo, sia il narratore individuale o collettivo. Te la si conta noi. Noi chi? La voce narrante è quella di una folla che si sta muovendo, una folla che tende l’orecchio, che si nasconde o che sbuca fuori dal buio all’improvviso. E l’effetto che ne risulta è quello di trovarsi al centro di un evento magmatico, in perenne movimento, ma anche di trovarsi in un mezzo a un flusso di eventi il cui senso medesimo cambia, sprofonda, si rovescia.
La tragedia equivale alla commedia
“Te lo si conta noi, com’è che andò. Noi che s’era in Piazza
Rivoluzione. Qualchedun altro te lo conterebbe – e magari
te l’ha già contato – come son buon tutti, cioè a dire
col salinzucca di poi, dopo aver occhiato le stampe
sui libri, varda, c’è Madama Ghigliottina, c’è il ritratto
di Robespierre, volti la pagina e c’è la mappa
delle battaglie, e dal capo alla coda si snocciano
gli anni cosí, come fossero olive: 1789, 1793...”.
Algirdas Julien Greimas, linguista, semiologo lituano 
L’infosfera
Il tema    delle tecnologie di comunicazione come fattore di mutamento decisivo del processo storico, e particolarmente dei processi di soggettivazione è una costante dell’opera Lb/Wm. In Q la diffusione della tecnologia di stampa è lo sfondo su cui si disegna un mutamento relazionale, culturale, etico, che prepara il mutamento sociale. In Q e in Altai si parla continuamente della stampa e diffusione della Bibbia e  di opuscoli religiosi e politici. La diffusione della stampa è l’evento tecno-mediatico che nutre la coscienza della borghesia urbana nei secoli della prima modernità. La predicazione di massa tra i contadini degli Anabattisti e degli altri eretici di quel tempo si accompagna alla distribuzione di volantini ricavati dagli scarti dei volumi della Bibbia.


Col termine infosfera nella filosofia dell'informazione s'intende la globalità
dello spazio delle informazione



Ma la  replicazione del    testo
mette in questione l’identificazione della verità, rende possibile la falsificazione, l’invenzione. La replicazione del testo mette in moto un’inflazione del senso. Il diffondersi del verbo produce un salto nella sfera dell’immaginabile, e quindi nella sfera dell’esperibile. Segue allora un riassetto traumatico della sintonia Mente/Infosfera. La parola si diffonde in circuiti che la decodificano secondo codici imprevisti, imprevedibili, e i codici sono sottoposti a una pressione che li deforma, li trasforma, o li cancella. Con questa consapevolezza del rapporto tra media e linguaggio Wu Ming si misura con l’infosfera di rete. La deterritorializzazione costante del luogo da cui proviene la parola è il sound dell’Armata dei sonnambuli, una voce narrante molteplice e mobile può esprimere la soggettività dell’epoca della rete.
Rivoluzioni moderne
Nell’ambiente di rete la piccola banda ha creato azioni molto articolate e complesse, che io conosco solo parzialmente. Quel che so, quel che mi pare di averne capito, è che l’episteme reticolare è il punto di vista dal quale occorre comprendere questa innovazione linguistica, con tutti i suoi richiami orizzontali, i suoi link che aprono a diverse possibilità ipertestuali e rendono possibile una perpetua fuga all’identità. E adesso? Leggendo L’armata dei sonnambuli mi sono chiesto: qual è il futuro di questa piccola banda? Con questo libro hanno portato a compimento una ricognizione sulle rivoluzioni moderne, ma alla fine ci hanno portato nel cuore dell’epoca presente. Ma chi aprirà la strada ad un’immaginazione del secolo che viene?
Le tenaglie del
capitalismo
L’epoca delle rivoluzioni è finita, ma anche l’epoca dell’illusione razionalista e democratica è finita. La mitologia contemporanea è piena fino alla saturazione di narrazioni distopiche, nelle forme ciniche di Hunger Games (romanzo di Suzanne Collins, film diretto da Gary Ross) o in quelle rabbiose di The Purge (il film splatter di James de Monaco) o in quelle orwelliane di The Circle (il romanzo di David Eggars) o in quelle disperate dei film di Je Zhang Khe (Unknown pleasures, Still life, A touch of sin).
La via
di   fuga
E’ possibile immaginare il nuovo secolo fuori e oltre le categorie distopiche che emergono dall’immaginazione estetica contemporanea? E’ possibile immaginare vie di fuga dall’inferno del capitalismo finanziario e della guerra frammentaria totale? E’ possibile pensare i processi di formazione di una soggettività cosciente al di fuori dalla tenaglia: automazione bio-finanziaria/identità aggressive di tipo etnico religioso o nazionalista? Compagni ancora uno sforzo: alla poesia, alla narrazione tocca il compito di immaginare le vie di fuga dal totalitarismo bicefalo che disegna il prossimo secolo come un inferno.
Franco (Bifo) Berardi
*Franco (Bifo) Berardi, nato a Bologna nel 1949, è scrittore, insegnante, mediattivista. Negli anni della gioventù prese parte al movimento studentesco bolognese e all'organizzazione Potere operaio. Nel 1975 fondò A/traverso (1975-81), e tra il 1976 e il 1978  partecipò alla redazione di Radio Alice. Fuggito a Parigi nel 1977 collaborò a lungo con Felix Guattari. Negli anni '80, durante tre anni di permanenza a New York collaborò come giornalista musicale alla rivista milanese Musica 80. Negli ultimi anni è stato coinvolto in molti progetti di comunicazione, tra i quali Recombinant.org. Negli anni '80 e '90 pubblicò Mutazione e ciberpunk, Come si cura il nazi, Neuromagma, Exit, Felix, Una stagione all'inferno. The soul at work (pubblicato in inglese nel 2009 dall'editore californiano Semiotexte), è tradotto in molti paesi del mondo, seppur non in Italia. Ha creato e diretto European school of social imagination (SCEPSI). Attualmente collabora alla creazione di un centro di ricerca sul futuro del cervello umano.
Il prossimo libro di Franco Berardi, "Heroes: Mass murderand suicide
in the Neoliberal desert", uscirà nel novembre 2014. Sarete avvisati.