martedì 29 luglio 2014

Poema illusionista

Benvenuti nel teatro dell'illusione









 L’illusionista
Sylvan Chomet

di Matteo Tassinari
Nello Zibaldone Giacomo Leopardi annota un'intuizione folgorante sull'intima essenza delle opere di genio. In queste, sostiene: "L'anima riceve vita, se non altro passeggera, dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose e sua propria". L’occhio della grande arte è, dunque, disincantato, perché vede che ogni cosa è minacciata dall'aculeo della morte, che gli dèi sono in esilio e che, almeno sulla terra, non si dà alcuna salvezza. Ma da questa consapevolezza una sconvolgente contraddizione. L'opera di genio, pur mostrando senza fare sconti il fallimento della condizione umana, lo dice con un linguaggio, quello della poesia, che riempie di significato la vita di ognuno.
il gradevole e illusionista sylvain chomet


Pupazzi riverberi


L’illusionista Sylvain Chomet, fin dal titolo, suona come una conferma dell'assunto leopardiano. L'illusionista Tatischeff, ma si potrebbe allargare il discorso ai comprimari che lo affiancano, dal clown che tenta il suicidio al ventriloquo, costretto prima a vendere il proprio pupazzo e poi a mendicare lungo i marciapiedi, è il paradigma compiuto dell'insensatezza della vita, eppure i suoi modi compassati, la sua mitezza, la sua eleganza, in una parola la sua poesia, sono il riverbero di quel senso. Egli è, sì, un illusionista, ma anche e soprattutto il suo contrario, un implacabile realista che fa strame delle illusioni e dei trucchi di cui pure vive.













Questo ultimo mondo
La grandezza   di questo personaggio e di conserva la grandezza di ogni poesia, sta proprio nella sua capacità di tenere insieme l'illusione e la disillusione e di non assolutizzare mai la realtà, di non confondere il dettaglio per il tutto. Tatischeff è grande perché sa bene che il mondo è impazzito "È guerra?". Recitano minacciose alcune locandine per le strade di Edimburgo e che il dolore e l’abiezione lo abitano, ma sa altresì che senza un pò di magia il mondo non è completo. In lui si sommano i personaggi di don Chisciotte e di Sancho Panza, la santa idiozia del primo e la malinconica consapevolezza del secondo, il quale vede bene che Dulcinea del Toboso è soltanto un'incolta contadina, ma non lo dice, perché comprende che la follia del padrone non fa venire meno l'urgenza che in questo mondo esista una principessa come Dulcinea.









Cala il buio

"I maghi non esistono", scrive l’illusionista sul biglietto d'addio ad Alice, la fanciulla che lo accompagna credendolo davvero un mago, ma quella affermazione, così tranciante e apodittica, è un lumicino nella notte, è un'indomita resistenza alla disperazione e insieme una domanda insistente di senso e riscatto. Chomet si rivela un maestro nel ritrarre il flusso struggente del tempo, che è poi la richiesta di un di più di vita o se si preferisce di un di più di magia.




Il mar di Dudovich





Mai i numeri dell'illusionista si rivelano più veri
come nel momento in cui egli scrive quelle righe. La vera magia, infatti, si può apprezzare solo svelandone i trucchi da baraccone e l’odore di cartapesta. Qui Tatischeff diviene il principe degli illusionisti, di coloro che, per riprendere l'etimologia della parola, fanno dellusus, del 'gioco', l'unica attività seria dell'uomo. E con il gioco il vecchio prestigiatore recupera pure quella sublime capacità del bambino di vivere evangelicamente ogni giorno, a cui basta la sua pena, senza preoccuparsi del domani, perché il domani di certo sarà migliore.
Il grande Thomas Mann

Tatischeff si potrebbe accostare al Cavalier 
Cipolla, il solfureo incantatore del racconto Mario e il mago di Thomas Mann, per comprendere meglio la necessità del primo e il pericolo del secondo. Infatti, non illusioni, bensì allucinazioni offre il Cavalier Cipolla al proprio pubblico. Se le illusioni dicono lo scarto tra il mondo come è e come dovrebbe essere e l'indomita tensione perché siano liberate le potenzialità di ogni realtà; l'allucinazione, invece, assolutizza il presente, blocca il tempo e si chiude alla speranza, che è la visione ampia e sovrana sulle cose. Non solo. L’illusione nasce da un deficit dell’esistenza ed è un tentativo dolente, feroce, malinconico e il più delle volte vano, di correggerlo. L'allucinazione, la mancanza totale con la realtà, al contrario, non nasce da alcun oggetto esteriore, è cattiva e abbrutente e, ciò che è peggio, tende a piegare il mondo secondo i propri desideri. Da pazzi diventano predatori.






Senza illusione
E' come se oggi mi sentissi sollevato


Muli al vento















Senza l’illusione non ci sarebbe speranza. E' per questo che l'illusionista compie il suo capolavoro, la sua magia più grande di sempre, rivelando ad Alice che i maghi non esistono. Quella confessione non toglie nulla ai suoi incantesimi, anzi, li rende ancora più preziosi. Le scarpette rosse, il cappottino e l’abito turchese, acquistati da Tatischeff con i soldi guadagnati ottenuti da lavoretti notturni (alcuni addirittura umilianti) acquistano così una poesia che s'imprime indelebile nella mente dello spettatore. Quel foglietto aiuta Alice a crescere, mostrandole come la vita possa essere anche inaspettatamente generosa e colma di un amore che gratuitamente dà, senza ricevere nulla in contraccambio. Solo così la fanciulla può aprirsi ad altri incanti e gustarli nella loro pienezza, come l'amore per un giovanotto incontrato casualmente ai grandi magazzini.
Edimburgo di notte












Passeggiate nomadi

sul grande schermo
Alla fine del film le luci e le insegne luminose di Edimburgo una dopo l'altra si spengono, i bar chiudono i battenti e sui palcoscenici cala il buio e il silenzio. Eppure nella notte, a bordo di un treno che lo sta portando chissà dove, Tatischeff ancora veglia e ancora trova la voglia di fare un numero di illusionismo. Il pubblico questa volta è composto solo da una madre e dal suo bambino, ma lo stupore di quest'ultimo dinanzi alla matita rossa che per incanto spunta dalla mano del prestigiatore è capace di detergere tanta sozzura dal volto del mondo.