sabato 13 settembre 2014

Gli ultimi giorni di Pompeo

Sono Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza. Ho 24 anni, sono alto 1 metro e 86 centimetri e peso 75 chili
Non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno. E' ancora presto, per il giorno, quando gli occhi s'imbevono di pianto, i miei occhi di pianto...             

 (Banco del Mutuo Soccorso)
Gli ultimi
giorni    di Pompi

         di Matteo Tassinari
"Vivo sulla lama, mi commuovo nei bassifondi, parlo coi ricercati dallo Stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi, rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi mi faccio, e tutto torna bello, più splendente di prima! L'alternativa è la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo, lo studio, l'amorosa ricerca, lo scemo naturale, il simpatico, l’antipatica, due più due fa quattro, sveglia alle otto, viaggi, incidenti in pullman, Milano, cene d’affari e non valgono quei personaggi più di quegl'altri, mutuati della felicità. Palle anche lì, palle peggio di qua. Vuoi mettere risorgere, risorgere, risorgere…". (A.P.)   
La       grande
Mesizia

Molto prima  che Trainspotting, libro di Irvine Welsh e poi film di Danny Boyle, celebrasse con sarcasmo le virtù dell’eroina a livello specifico, Andrea Pazienza firma quest’amarissimo ritratto, Pompeo, di vita tossica postmoderna nella conclusione di uno dei capitoli più duri di Pompeo. Uscito a puntate su Alter Alter a partire da aprile 1985 e poi in libro per Editori del Grifo due anni più tardi, Pompeo nasce sulle macerie della vita che Paz mena negli ultimi tempi a Bologna e che nel mio piccolo, per qualche annetto, ho menato pure io. Siamo fra il 1983 e il 1984, io l’anticipai, iniziai nel 1979, cessando la furiosa attività endovenosa nel 1983 in una Forlì che sembrava Cantù, le uniche città italiane con l’accento in questo favoloso sito chiamato Italia, Cefalù a parte.
Gniek!
Pompeo
La vera partita persa non risiede tanto nelle sua arte espressa che è già un tesoro, ma nella terribile consapevolezza della sconfitta di fronte al magico, quanto folle, mondo delle polveri. Non so se sia possibile rappresentare il caos mentale di un tossicodipendente, il suo dolore, la sua solitudine, le sue paure che presenta a chiunque per intero. In ogni caso penso che Pompeo sia il tentativo più riuscito nel cercare di offrire l’esistenza estinta di un tipo di tossicodipendente. Pompeo è la sofferenza esasperata e incomunicabile di un tossicodipendente da eroina, narra la routine e lo stillicidio dell’insegnante di fumetto Pompeo nei suoi ultimi giorni di vita e la sua morte annunciata. E' una morte fra il volere di smettere di soffrire e alla ricerca di un posto migliore, di quelli dove tutti ci ritroviamo senza sapere perché. Molti lo scoprono dopo, e chi non l’ha scoperto s’è ridotto male. Paz, t'arricchiva, a prenderlo per il suo lato, non stiamo parlando mica di Giuseppe Piromalli di Belluno di anni 57 dipendente comunale con tutto il rispetto per Piromalli che conosco da una vita.
ANDREA PAZIENZA E L'ERA ZIO FEININGER
Nel  frattempo 
Andrea tiene lezioni di fumetto all’Istituto Tecnico Aldini Valeriani a Bologna. La crème bolognese del fumetto aveva dato vita alla "Scuola Zio Feininger", nome scelto in omaggio al pittore americano (ma di origine tedesca) Lyonel Feininger, che a inizio Novecento si era dedicato al fumetto per poi passare Bauhaus di Walter Gropius. Pompeo corre alla scuola. L’istituto è enorme, corridoi, la segnaletica inesistente. Qui e lì, s’illuminano le aule di vari corsi serali. Pompeo va nel cesso a farsi una pera. La sesta dalla mattina. La seconda classe è come una vagina, un pubblico per lui che è rimasto solo. Parla, parla, parla. Si crede un poeta. Fattissimo, non può durare. E non durerà. Che incubo. Fattissimo. Non può durare. Esce anche da questa ora di lezione abbottonandosi la patta. Dà il cambio ad un altro. È la primavera dell’84.

 INIZIATE da META’

Mucchio
feroce
A quei
banchi, 
da dove un’allieva si rimira Pompeo con sognanti e pupille a forma di cuore, siedono brocchi conclamati e giovani speranze del fumetto italiano come Francesca Ghermandi, Giuseppe Palumbo, Otto Gabos, Davide Toffolo. Toffolo, che oggi si divide fra il disegno e il rock dei suoi “Tre allegri ragazzi morti”, ha firmato un appassionato ricordo del suo professore su “Mucchio Selvaggio”, da sempre fucina di ottime firme, tra cui la mia. Lo spunto è l’impossibilità, di esportare Pazienza all’estero, l’intraducibilità delle sue opere, ma anche la difficoltà di irreggimentarne la creatività secondo i criteri formali del lettering e degli spazi in pagina, spazi vuoti per la pubblicità e tanto altro. Scrive Toffolo: “Andrea non ha mai pensato di parlare a nessuno diverso da se stesso, tanto meno a un francese o a un americano. La lingua era il fumetto. La pancia era padrona del talento. “Mai pensare ai soldi durante il lavoro. O prima o dopo”.


Questa massima
pazienziana, recitata con la solita enfasi connessa allo sberleffo ironico talentuoso, non è mai gratis, la devi conquistare stando con la gente, affrontandola, giocandoci, ammirandola, fregarsene, offenderla o stimolarla. Vive il dramma di una sensibilità enorme con la leggerezza della farfalla incapace di volare. Mi viene da pensare che prima ha volato molto  in alto il Paz, dimostrando la leggerezza, la libertà, l'innovazione di un vero poeta, con le sue tavole e la poesia circoscritta in esse. Questo è ritmo, segno, parola, chiaro e scuro, obliquo o paralleli perpendicolari, linee informe tracciate sul foglio, come a partorire l'ennesimo capolavoro, l'opera maestra, apice, culmine, massimo, la meravigliosa pugnalata: "Stronzo!!! E se avessi l'aids!", urla Pompeo in down e ferito nel cuore dalle regole di base che deturpano ogni originalità. E cosa resta infine della poesia tradotta? Poco.
          Le semplici regole
Ci sono cose che non dimentichi, mai, una a caso: “Se volete che un fumetto (di 8 pagine ad es.) appaia omogeneo senza far percepire che avete affinato i personaggi man mano che li disegnate, o al contrario che arrivate esausti alla fine con un calo di qualità, fate così: INIZIATE da META’! Arrivate alla fine e poi disegnate le prime tavole.” Questo modo immediato di affrontare la tavola definitiva è tipico del Paz, la carta è il catino dove riversare (col pennarello) quello che nella mente è stato velocemente processato, sintetizzato, armonizzato con un unico fine: ipnotizzare il lettore.
GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEO 
 Bazooka
Condannato all’eterno ritardo, incontri presi e a volte non c'andava, molti criticavano questo suo atteggiamento: “Cazzo, a come fai a non capire, c’era lei, poi dovevo andare a consegnare 100 tavole a Frigidaire, ritirare mezzo milione da Dal mio editore, Paolo mi rompeva i coglioni dal mattino per le scarpe, pioveva, avevo freddo, tremavo” e mi fermo qui, perché sembrava davvero John Belushi in “Blues brothers” quando deve giustificare alla moglie col bazooka.

Pompy è

stanco

stinco
Andrea aveva un maglione blù scuro a frange con perline e finte Timberland. Era esuberante, ed era anche solissimo. Credo che combattesse battaglie tremende, come tutti noi del resto, ma penso che ci siano persone che avvertano maggiormente la percezione del disagio che gli ruota attorno all’esistenza. Racconta la Ghermandi: “L’atmosfera delle lezioni era un po’ da freaks. Ricordo, a proposito delle ragazze che gli ronzavano intorno”. Una tipa sempre vestita di azzurrino, dal nome inverosimile, molto innamorata di lui. Andrea diceva che questa andava a casa sua e lo rimproverava dicendo: “scopi con tutte e con me no. Perché?”. Bella domanda. Manca poco Pompi, tieni la botta!
GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEO 
    Come rispondi    ad  una domanda    così?
Quando sai analizzare cose e persone al’impronta, immediatamente e senza sbagliare, è ovvio che ne può uscire una critica eccessiva come estremamente benevola. Le lezioni erano sempre improvvisate, una volta disse: “Disegnate le cose a volo d’uccello”, intendendo dire di guardare il mondo dal punto di vista di un uccello in volo e cominciava a disegnare col pennarello su una lavagna bianca ai 500 all’ora un affresco grande 5 metri per 10 di colori, cavalli, fiumi, montagne, cavalieri e puledri in impennata. Magari si trattava di qualcosa su cui stava lavorando fino a poco tempo prima.
 Il Tocco Supremo
Ci  mostrava il suo modo di lavorare che non è stata cosa per tutti, anzi solo per alcuni, pochissimi, quasi nessuno, oltre a lui e forse due o tre Paz che verranno fuori chissà quando. Il tratto supremo, non consisteva nel disegnare in sequenza, da una vignetta a quelle successive. Lavorava su una vignetta e poi passava ad un’altra che si trovava da tutt’altra parte nella pagina. E insisteva su questa cosa del kendo, del disegnare con lo stomaco con la pancia, colpire al cuore nell’estremo momento della stanchezza. Vederlo lavorare era un evento, un momento altro e alto, un’esposizione dove anche i cavilli, i dettagli più minuti, più piccoli, sembravano essere trascurati, poi dopo un’ora, la preziosa tela s’era arricchita di ogni visione impossibile ai più. Arrivava con una spatola e gli dava il colpo d’ascia del mestiere, dell’artista, quel rapsodo talento raccontato con una lingua lirica e simbolista.

GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEO 
POMPEO
NEI TESTI
E' scontato che Pompeo sia la rappresentazione artistica meglio riuscita su come si vive la eroina, e io o posso dire. Meglio "Degli ultimi giorni di Pompeo" nessuno seppe mai raccontare così dettagliatamente l'esistenza di un tossicodipendente del 1980Tutti rudimenti che fanno di Pompeo un vero capolavoro privo dello scorrere lento del tempo. Visionario, ricchissimo di citazioni, testi, ipertesti, rimandi concettuali e slang puro in 180 pagine. Gli ultimi giorni di Pompeo è un testo da proporre in tutti gli istituti scolastici superiori, se si desidera raccontare, senza cader nella banalità o i soliti luoghi comuni triti e ritriti, senza sconti, ai prossimi uomini cosa sia la tossicodipendenza, cosa sia la spirale di eccitazione e nichilismo, in contemporanea che l’abbraccia stringendolo fino allo stritolamento chi ne fa uso e abuso. Un essere umano, in preda all’eroina, è una tortura che voi non sapete. Non potete immaginare quel che si prova. Solo chi ha vissuto quei momenti down da eroina e metadone, "robe" da correre e sbattere la testa contro le pareti e sentire un freddo anche con tre maglioni addosso e un plet di lana che copre inutilmente il corpo di Pompy.
Escursioninconsce

Pompeo è un magma vulcanico, un’escursione nell’inconscio connesso al tormento, all’angoscia di chi capisce che non ce la fa più e la mestizia albeggia come ogni santo giorno. Allegato a quel genere di stile di vita, cronaca di un’esistenza cadenzata dalle dosi, dai soldi, le siringhe, conflitti mentali, collera inespressa per provare a divorarsi fino a riuscirci e dalla presunzione che ti poneva in condizione di non cedere tutto al senso di colpa e scaricare qualcosa a qualcuno. La fine degli anni ‘70 e l’inizio dei miserrimmi anni 80 comparve l’Aids e noi inconsapevoli l'abbracciammo quasi tutti, perché non volevamo farci mancare nulla o forse volevamo superare Louis Ferdinand Celìne nei nostri viaggi notturni e molti ce l’hanno fatta, tra cui io. Ricorderò sempre per sicurezza che tutti gli episodi di cui parlo, sono accaduti nel 1983 e ora ho la fedina penale pulita come il culetto di un bambino di un mese appena pulito dalla mamma.

Una depressione bollente,
pustole ustionate da ecchimosi gonfie come becchi di zanzare del Congo, grandi come farfalle per le nostre tenere carni, vene comprese. Un’immensa altalena tra Paradiso e Inferno, dove adesso godi e ti sembra di aver risolto tutto con una botta, poi dopo cinque orette torni il pirla di prima, pronto a fare tutto ciò che non si sarebbe fatto per nessuna ragione al mondo. La storia di Pompeo è la storia di Andrea in definitiva, di una progenia geniale, triste quanto tribolata, brillante, originale quanto afflitta, sventurata, estrosa quanto bizzarra. 

Andrea muore il 16 giugno del 1988, a 32 anni e il cielo s’intristì. Qualcuno di irripetibile, ch'era riuscito, per davvero, a raccontare l’irrequietezza ai sognatori del Dams, dell’università, dei mercatini all’aperto, di chi in strada ci viveva, illusi idealmente quanto utopisti per mestiere, disincantati per vocazione ed eroinomani per necessità aggiunta. La ribellione di una generazione che, come scrisse Tondelli: “non era stata capace di credere veramente in nulla, se non nella propria distruzione”.
PIER VITTORIO TONDELLI 
Nella postilla finale dell’opera, il Paz scrisse: “Così finisce l'ultima puntata di Pompeo e, presumo, anche un lungo capitolo della mia vita". Questi s’era aperto ‘fumettisticamente’ nel settantasette con Pentothal (del quale Pompeo è forse l’alter ego invecchiato) e, tra alti e bassi, chiude adesso, nove anni dopo.
Paz: "anni, che come si dice, sono volati"
PoMPEO paz
"Cari voi che mi avete seguito fin qui, così finisce l'ultima puntata di Pompeo e, presumo, anche un lungo capitolo della mia vita". Andrea.
 Come se fosse stato spintonato,
ultimo, doloroso, script prendo da: "Gli ultimi giorni di Pompeo"