mercoledì 6 aprile 2016

Divenire saggiamente folli

 PREAMLETO:
LA VITA DENTRO E OLTRE SHAKESPEARE

Il Console
Una serata che riconcilia con quel Teatro capace di sfidare i classici. Michele Santerano e Veronica Cruciani si misurano nella (ri-)scrittura e nella regia di tutto quello che accade prima dell'Amleto scespiriano, a quattrocento anni dalla morte dell'inarrivabile Bardo. È un testo formidabile e una messa in scena coinvolgente e commovente. Che dà la parola allo Spettro, prima che diventi tale.
Follemente saggi
Divenire
saggiamente folli
Siamo dentro una sorta di cuneo nel palcoscenico, bunker grigio di cemento armato, con rumori in lontananza, attraversato da feritoie, porte aperte e chiuse, fasci di luci ed ombre che incorniciano i protagonisti, evocando atmosfere espressionistiche, simbolismi senza tempo, e l'eterna attualità del potere, delle sue follie e dei suoi fallimenti: relazionali, familiari, parentali, politici, istituzionali. Al centro il Re Amleto, colpito da una stupidità e dimenticanza che può avere il nome di Alzheimer, ma che a noi fa pensare a quel motto da burla permanente del nostro amato Thomas Bernhard in Estinzione, nel dichiarare che dopo i quarant'anni si dovrebbe essere proclamati vecchi pazzi, buffoni, liberi e indipendenti.
E il registro narrativo tra lo smemorato Amleto e sua moglie Gertrude, il titubante fratello Claudio e l'ammiccante consigliere Polonio, con gli intermezzi disperati del giovane Amleto, è giocato su molteplici piani, tutti sapientemente miscelati dalla regia di Veronica Cruciani: grottesco e poesia, amore e sete di potere, odio e ironia, sarcasmo e spleen, cialtroneria e lucida follia, tragedia e commedia. Potrebbe essere un trattato intorno al potere e alle sue relazioni questa profonda messa in scena, a partire dalla famiglia e da quello che non siamo sicuri vorremmo accadesse nell'Amleto di Shakespeare: avvelenamenti, assassinii, vendette, suicidi... E le domande insistenti e ripetitive di Amleto, troppo spesso senza risposta, soprattutto rivolte all'amato figlio: “ti ho insegnato che il silenzio e il comando sono alleati?” Quindi la promessa di “nessuna vendetta, mai”, quando si è già sospesi sulla morte: “lasciala recitare a loro questa commedia del potere”. “Tutto va come deve andare!”
 S'incrociano, con magia,
sul palco del teatro
Amleto ci pare un saggiamente svampito sovrano, novello Bartleby, profeta di un sempre inattuale I Would Prefer Not to: un “avrei preferenza di no” trasmesso come lascito testamentario alla propria discendenza, dopo che la sua esistenza da monarca è stata costellata dalla sciagura della decisione sulle vite altrui, per il potere e il comando. Perché, come il Bartleby di Deleuze, il Re Amleto ritenuto “malato” è in realtà l'unico possibile “medico” della malattia del potere. Un memento che è contemporaneamente romanzo di formazione delle generazioni a venire e lucida, visionaria, testimonianza di quelle passate. Che si incrociano, con magia, sul palco del teatro.
Una affollata solitudine
E in questa ora e un quarto che fugge una grande prova, singolare e collettiva, di recitazione. Un Massimo Foschi da applausi a scena aperta, perfetto nell'ebetudine, ironica e malinconica, del potente sovrano perso nella sua smemoratezza, anche di artista condannato a replicare se stesso e quindi a giocare con i cliché del teatro, per sfuggire agli stereotipi e ai luoghi comuni. La splendida Manuela Mandracchia che probabilmente si misura con la più complicata performance di mutamento di registri: amorevole e rabbiosa consorte, madre contro-natura, tendenziosa amante del sovrano che verrà, fondamentalmente sperduta nella sua solitudine di donna con infinite responsabilità.

Forse non “tutto è finito!”
Per la regia di Veronica Cruciani. si esce entusiasti e pronti a replicare la visione di questo teatro vivo, potente, furioso, appassionato che Michele Santerano e Veronica Cruciani ci hanno donato, stasera. Con l'augurio che intanto il testo venga pubblicato per regalarci la gioia di una sua lettura, con gli adeguati tempi lenti, sicuri che non sfigurerà accanto a quello che viene dopo, nel classico scespiriano.
  Preamleto di
Michele Santerano
L'interdetto Michele Sinisi sembra annunciare un grande futuro, nell'Amleto a venire, e nel suo teatro, che riscatta la delusione da noi avuta vedendolo solo qualche mese fa al Teatro India in un testo che pure tanto ci aveva fatto sperare, sempre di Michele Santerano: Scene di interni dopo il disgregamento dell'Unione europea. Gianni D'addario compiacente Polonio che spinge furbescamente sul registro del comico. Quindi Matteo Sintucci, giovane Amleto che avremmo voluto meno iroso e lamentoso e più “indolente e torpido delle alghe che marciscono sulle rive del Lete” come dal dialogo con lo Spettro splendidamente tradotto da Cesare Garboli, per l'Amleto di Carlo Cecchi. E la virtuosa regia di Veronica Cruciani a dirigere il tutto, attrice e regista che seguiamo da tempo e da qualche tempo anche direttrice artistica del Teatro Biblioteca Quarticciolo. 

giovedì 19 novembre 2015

Cuore di tenebra



Mito, Totem e tabù
         di Matteo Tassinari
Forse questo è l'ottavo post che scrivo sul film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, perché con il beneplacito del padre di Sofia, figlia e regista sofisticatissima, eccentrica ed elaboratissima, lo considero il mio film, come se l'avessi scritto e girato io. Non so quante volte ho preso il Dvd e l'ho fatto ingoiare dal mio lettore, ma certamente avrò superato il centinaio di volte e ogni volta finito, dura 150 minuti tondo come un cocomero e non come un uovo, non era impossibile che ricominciassi subito a rivederla. Sia ben chiaro il concetto sferico dimensionale frutto dell'albero come il frutto della gallina, l'ova al cuculo.

Si, ho detto cuculo
ma non perché sono balbuziente
Per tornare al finale di Apocalypse Now, ossia, il momento cruciale di tutto il film mai stantio, neanche un secondo buttato all'aria, ma goduto fino al principio attivo della pellicola. E' così che il cinema della Storia della settima arte, la più completa delle arti, ha imboccato una curva parabolica che solo un genio, come Coppola, può addirsi. Il film, oltre al grande movimento di mezzi, uomini, e tutto quello che è servito per rendere il più possibile realistico, essendo, lascia spazio anche ad una dimensione intellettuale alquanto enigmatico, rimbalzata fra luce e ombra. The Hollow Men può essere letto come un'estensione dello stesso modello di ricerca e sconfitta de La terra desolata.
                  Il Sé multiforme di Poe e la discesa nell'abisso del disumano
Kurtz è la    discesa
nelle       tenebre
Questa poesia è introdotta da due epigrafi: la prima, Un penny per il vecchio Guy, fa riferimento al fantoccio di paglia bruciato ogni 5 novembre, anniversario della morte di Guy Fawkes, organizzatore del complotto delle polveri contro Giacomo I d'Inghilterra (1605). La seconda, Mistah Kurtz...
Accusare un uomo di omicidio quaggiù era come fare contravvenzioni per eccesso di velocità a Indianapolis.
 (Apocalypse Now)
Cesare di Shakespeare
dead, proferita da un servitore nero in Cuore di tenebra di Joseph Conrad, enfatizza una connessione tra un rituale selvaggio e gli uomini vuoti di Elliot. La storia di Kurtz è stata rianalizzata come studio dei rituali primitivi di successione, iniziazione e fertilità (sulla linea dei saggi di James Frazer). Kurtz è stato iniziato nella tribù diventando il loro "rain and fine weather maker", il simbolo della discesa nelle tenebre. Il principale legame tra Cuore di Tenebra e questa poesia consiste nel tema di degradazione attraverso il rigetto del bene, di disperazione attraverso la conseguente colpa.
Mito e divo d'altri tempi
Inoltre Kurtz viene descritto like an hollow sham, hollow at the core. Eliot rivendica di aver costruito il titolo combinando The Hollow Land di William Morris e The Broken Men di Rudyard Kipling. Inoltre la parola hollow (cavo, vuoto) viene pronunciata da Bruto rivolgendosi ai cospiratori nella scena seconda del quarto atto del Giulio Cesare di William Shakespeare.
Marlon Brando nei panni del colonnello Kurtz 

L'incontro con Willard
Ed eccoci col pitone che sbuca fuori dalla palude ricoperta di ogni forma vivente. Marlon Brando entra in scena. Ma lo fa in un modo che senti il dovere di alzarmi e andare vioa per ché Kurtz me lo stava dicendo. Salta fuori dal nulla come fanno le anaconde quando si camuffano nell'acqua per poi avventarsi in un baleno sulla preda, lentamente, come un epico e fantomatico mito e divo di altri tempi, una rock star partito per un viaggio infernale, ma non folle. La sua lucidità gli permette di leggere poesie di Thomas Elliot che si sorregge su riflessioni sulla guerra. Recita a memoria il colonnello Kurtz inizia a recitare la più famosa poesia di Elliot riporto qui la prima parte:
"Siamo gli uomini vuoti"

Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina


Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;
Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati...
E’ questo il modo in cui finisce il mondo 
Non già con uno schianto ma con un lamento
Thomas Eliot 1888-1965




Nel finale della prima versione, se è vero che il popolo si prostra davanti a lui come ad un Dio, egli si avvia di spalle prendendo Lance per mano, un rapporto con il fratello, con il suo prossimo che si distingue nettamente dalla posizione di Kurtz-padre della orda. Freud prosegue la narrazione del mito di Totem e tabù delineando il passaggio con il quale, a causa dell'insoddisfazione provata dopo l'uccisione del padre, il singolo riuscì a svincolarsi dalla massa e ad assumere il ruolo del padre. Chi fece questo fu il primo poeta epico, e il passaggio si compì nella sua fantasia.
Sempre Thomas Eliot, poeta, saggista, critico letterario
e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico.
Uno dei cervelli più riusciti nello scibile umano
 La missione del poeta
Il poeta contraffece la realtà accordandola alla propria nostalgia. Inventò il mito eroico. Eroe fu colui che da solo aveva ammazzato il padre il quale nel mito compariva ancora come mostro totemico. Tramite la poesia il folle volo di Ulisse è compiuto. Con il suo atto Willard, come nel mito il figlio più giovane, si situa nella posizione dell'eroe, colui che da solo uccide il padre. Qui termina il percorso dell'uomo drogato dalla guerra che con il compimento della sua missione, anziché, ancora una volta, saturare la sua mancanza con il godimento al di là del principio di piacere che la guerra procura, ha saputo riconoscerla in sé e ristabilirla per l'umanità.
Il regista di Apocalypse now in una foto recente Francis Ford Coppola

"Storie 
"inconcludenti",
Come voce narrante in cui cogliamo la proiezione del regista, egli rappresenta il primo poeta di Freud che nel poema epico narrò le gesta compiute nella sua fantasia. Nella realtà, Coppola ha rivissuto sul set lo scacco dell’America in Vietnam, da sempre il cancro dell'anima americana.  
Stanley Kubrick


La      dialettica

dell'orrore

Come egli stesso si espresse, Apocalypse Now è il “su” Vietnam e sebbene abbia rischiato di non concludere - arrivò a Cannes con due finali - a differenza di Conrad, narratore di "storie inconcludenti", trova un diverso finale, come non accade a Marlow, Willard uccide Kurtz. Se lo scacco di Marlow-Conrad, è lo scacco di chi non cessa di essere irresistibilmente attratto da ciò che ha criticato radicalmente, lo scacco di Coppola è quello dell'artista che non cessa di sfidare territori in esplorati. Nel medio-metraggio del 1953 Fead and destre in seguito rinnegato da Kubrick, si narra di una pattuglia sperduta di quattro soldati probabilmente aviatori, che nei pressi di un fiume risalgono le linee nemiche.
Una guerra innocua
Nel finale decidono di compiere un'azione dimostrativa e riescono ad uccidere il generale nemico e il suo attendente. Ma il primo piano rivela che hanno i loro stessi volti. Si tratta di una guerra ignota, che si svolge in una località sconosciuta e in un tempo altrettanto sconosciuto. All'inizio del film appare una foresta e si parla di una terra (land) ove appunto si svolge questa guerra imprecisata. E questa terra è identificata con la mente umana, Il che rimanda a un codice arcaico - un autentico archetipo - della cultura occidentale, messo in luce da Bruno Snell nei suoi studi sull'evoluzione parallela del linguaggio e del pensiero nella cultura greca. Decisivo al riguardo è comprendere l'espressione Apocalypse Now. In genere l'idea dell’apocalisse, indica una soglia o meglio un’autentica frattura del tempo.
Il Battello ebbro di rimbaudiana memoria


Meditazione sulla crudeltà
La si associa quindi all'idea sia della fine che dell'inizio. In questa direzione è fin troppo noto che Heart of Darkness è stato letto come un testo che rivela il fondo della nuova civilizzazione coloniale del mondo occidentale. Questo modello ha fornito la base del film, che è quindi un'allegoria della guerra del Vietnam. Da parte di Coppola significa evidentemente recuperare la stessa profonda meditazione sulla spietatezza e sulla crudeltà che nessuna cultura sembra poter cancellare definitivamente. E ancora poteva essere uno strumento per recuperare il medesimo ambiguo giudizio sull'opzione radicale dei due Kurtz, che quasi sembrano costretti razionalmente ad abbandonare ogni pietà e ogni pudore per smascherare l'odiosa ipocrisia del progetto di civiltà in un caso o di democrazia nell'altro.
Heart of Darkness, Joseph Conrad 
 L’aspetto purgatoriale
Il racconto di Conrad era anche una variazione e insieme uno scarto assai importante rispetto a una metaforicità spaziale importantissima come quella utilizzata da Dante nella Divina commedia. Spesso la critica ha paragonato il viaggio verso il cuore della tenebra come la discesa dantesca agli inferi: ma semmai, se relazione c'è, ci vedrei l'inversione di questo modello; perché navigate su un fiume contro corrente è molto più simile a un salire che a un scendere, quindi a ciò che nel racconto dantesco è cammino verso la luce divina.
Il fiume Congo, per questo, ha più mia funzione e anche un aspetto purgatoriale, cioè di ascesa verso il mistero. Ma il vero mutamento di paradigma non sta nell'importante modifica della metaforica del moto alto-basso (in cui è implicita una certa profanazione della sacralità dell'ascendere, visto che in cima c'è un essere al di là del bene e del male), bensì nell'appiattimento sulla superficie della vicenda. Lo spazio percorso dal vapore sul fiume Congo è tutto sulla superficie terrestre, prospettiva da cui automaticamente è cancellata ogni metaforica del miglioramento legata alla dialettica del e giù e con essa un approccio metafisico all'esperienza.
Un grande fiume (il Congo) occupava la sua immaginazione, lo affascinava "come un serpente affascina un uccello - uno stupido uccellino". Tramite l'interessamento di una zia, gli affidano "il comando di un battello fluviale a vapore". Il precedente capitano è morto, ucciso dagli indigeni a seguito di una lite per due galline. In seguito all'uccisione del capitano Fresleven, marinai e indigeni avevano abbandonato il villaggio in preda al panico. La Compagnia che gli affida l'incarico ha la sede in "una città che mi fa sempre pensare a un sepolcro imbiancato".
 L'intrigo parossistico
E il fiume era ovviamente un'immagine del discorso: linearità e sequenza dell'ordine delle parole trovano nell'immagine della striscia d'acqua, da percorrere senza scorciatoie, un ambiente ideale per esprimere la difficoltà del dire e dell'organizzare qualcosa di sensato nel caos e con l'intrico parossistico della foresta. Una metafora che implica il tempo, come forma della distanza dall'oggetto da raggiungere, e la storia, come strumento di collegamento tra cose distanti.

È questo l'aggrovigliato nucleo intorno al quale la variante contadina si distende e palesa tutta la sua autentica bruciante realtà, trasformando un Paese per sua natura pacifico e non invasivo. L'obiettivo ideologico era ovviamente quello di creare una situazione di attrito tra l'oscurità della coscienza e la violazione di ogni diversità e la negazione di ogni mistero, far collidere insomma una luminosità caustica con un'oscurità violenta, compresenti nel cuore dell'Africa selvaggia come nel cuore di ogni europeo greto della schizofrenia che va protetta e nascosta, perché la sua virtù scandalosa la farebbe percepire come un'eccezione o addirittura non sarebbe creduta) mostra la compresenza di buona e cattiva coscienza.
Qualcosa di diverso tra il modello offerto da Conrad e la trasposizione degli sceneggiatori di Apocalypse Now c'è di sicuro, forse anche una diversa opzione ideologica, ma l'insieme della struttura narrativa e delle sue implicazioni emotive sembrano identiche fino al dettaglio. Identica anche la posizione dei diversi agenti narrativi nella curiosa triangolazione tra autore, narratore e soggetto attoriale (Conrad, Marlow e Kurtz), una triangolazione in grado di condensare da sola una forma peculiare della mentalità occidentale. Creare una forza centripeta in grado di tenere, unite le diversità insite nella propria identità, quasi come un soggetto schizofrenico in cerea di sé.
Insomma, Conrad con il con il suo racconto e Coppola riprendendo, per quanto mostrassero senza veli e senza paura un volto atroce, pure lo mettevano in conflitto con un volto appena migliore (il narratore Marlow/Willard), almeno dubbioso e critico, nella cui azione affiorasse un altro volto rasserenato dallo svelamento di una verità, cioè il volto del fruitore, capace di riconoscere giustizia nel suo giudizio di condanna. M'è sembrato che il tema meritasse una verifica.
Ma dove cercare? La prima soluzione ovvia m'è sembrata quella di verificare se questo tipo di posizionamento del punto di vista ricorresse anche in narrazioni di scrittori che avevano potuto guardare ai paesi coloniali senza avere lo sguardo dell'occidentale. Per questo mi concentrerò su un romanzo che sembra riprendere il tema conradiano del cuore di tenebra, cioè alla curva del fiume in fiamme di Napalm. Ma prima è necessario approfondire come il punto di vista sia gestito nelle due narrazioni di Conrad e Coppala e, in verità, qualche differenza mi sembra che si possa indicare.
Con gli occhi dell'Occidente
Per riassumere quanto scritto sinora, entrambe le narrazioni condividono un tema analogo, che è quello di inscenare le colpe coloniali e imperialiste, e sebbene differisca in alcuni tratti considerevoli la tattica dialogica e comunicativa con il pubblico, sostanzialmente parlano e stimolano la coscienza dei lettori e degli spettatori: è su questa recezione culturale che modellano il punto di vista. In maniera così forte e netta che ogni soluzione drammatica sembra svolgersi tra le pareti di casa, nonostante lo sfondo esotico. Diciamo proprio in famiglia. Ma questo ragionare è un po' tutto fatto, per riprendere un titolo conradiano che spero non sia fuorviante del tutto, con gli occhi dell'occidente

Un altro sguardo è possibile?

Ora un'immagine di estremo dolore e di grande crudeltà mi si affaccia improvvisamente alla mente. È una scena di Full Metal Jacket, quella in cui i soldati americani nello stanare un cecchino in un grande edificio di una città letteralmente polverizzata, feriscono e trovano una giovane vietnamita morente. Per alcuni minuti i loro sguardi sembrano ipnotizzati da estrema sofferenza del nemico.
Full Metal Jacket

L'odio per Mickey Mouse
Il respiro è forzato e una richiesta si leva prima indistinta poi sempre più chiara dalla bocca della giovane: shoot me, please, shoot me. Pochi minuti dopo, gli stessi soldati si riuniranno ai loro commilitoni e insieme, in marcia verso il campo, intoneranno la canzoncina di Mickey Mouse, una canzoncina per bambini, dove l'orrore si mescola al grottesco senza lasciare scampo ad alcun fraintendimento.                       
Il cortocircuito

L'impietosa sequenza provoca
una rottura del giudizio morale difficilmente descrivibile. Lo spiazzamento emotivo è tale che non sembra essere più sorretto da alcuna narrazione. Personalmente sono rimasto e continuo a rimanere a bocca aperta ogni volta che ci penso. Spesso mi sforzo di immaginare, senza bene riuscirci, che cosa quell'essere rantolante rappresenti: e dato che ci vedo una rappresentazione dell'odio sconfitto, brutalmente annientato, mi si figura l'enorme sproporzione di motivazioni tra la giovane combattente vietcong e i giovani soldati americani.
 Un black out
senza rimedi
La distanza sembra davvero incolmabile, una vicinanza che mette addosso una dose fortissima di paura. Rievoco questa immagine perché mi sembra una delle più radicali denunce contro il dramma della guerra, un vero cortocircuito. Un black out che non conosce rimedi e continua, altrove, la sua opera d'annientamento umano.

sabato 8 agosto 2015

Le Cocoricò

Ecstasy, cocaina, alcol e restanti additivi,
il mattatoio prende le ali e decolla, ma non ci sono più aeroporti
La         mattanza
delle opinioni

di Leonardo Montecchi*

Come sa chiunque
si sia occupato da un punto di vista antropologico o sociologico delle feste da ballo sia all’aperto che al chiuso queste due posizioni si ritrovano sempre. Sono convinto che la repressione dell’aspetto dionisiaco della vita, per dirla alla Nietzsche, sia un grave errore. Penso che il muro di Berlino sia caduto più per The Wall dei Pink Floid che per le politiche di Reagan, e mi è sempre più chiaro che è difficile irregimentate chi sperimenta la libertà.
L'aspetto
dionisiaco
L’aspetto dionisiaco si accompagna sempre con la musica ed anche con sostanze che favoriscono la dissociazione. A cominciare dal vino che si è sempre servito nei locali da ballo e nelle feste private. Negli anni 60 nel nord europa e negli USA si assumeva amfetamina, Jack Kerouac in on de road ci descrive concerti di Jazz con assolo di sax alla Charlie Parker con gente fatta di metedrina. Chi ascoltava la musica beat o anche faceva parte di quella sottocultura è facile che usasse pasticche come il Pronox o il Roipnol, barbiturici. Con la musica psichedelica arrivò l’hascisc e la marijuana. Il sergente Pepper diffuse LSD senza il quale è impensabile la musica dei Pink Floyd.
Sister Morphine 
L’eroina stava lì come un cinese ad aspettare i cadaveri e con Sister Morphine dei Rolling Stones, ma meglio ancora il punk demenziale degli Skinantos: "sono andato alla stazione ho comprato il metadone…". Si capisce quali droghe e musica sono adatte per i Sex Pistol. 



Rave          Party

Il tempio del Cocco
E’  con l’hip hop, passando per il reggae e il raggamuffin che ritorna la marijuana, invece con la nascita della techno cambia il panorama musicale. Niente più rock star con cui identificarsi la musica da sfondo diventa figura, come dice Phipip Tagg, lo spazio viene delimitato dagli impianti e le vibrazioni sonore si sentono in tutto il corpo e non solo con le orecchie.
Questa musica genera i rave party che si diffondono dalla fine degli anni ’80 e producono, nella migliore delle ipotesi quelle zone temporaneamente autonome o TAZ che ha teorizzato Hakim Bey. Il Cocoricò è diventato un tempio di questa musica nomade. Non è facile diventare un tempio di un movimento internazionale, non è l’unico tempio, ma non ce ne sono molti altri. La chiusura, contrariamente alla volontà proibizionista e perbenista, lo trasformerà ancora di più in un mito.
Spirito Apollineo, Spirito Dionisiaco.
Il Caos e la Legge Henri Matisse, La dance (1909)

  Dunque...
riprendiamo, lo scopo della tecno, come di qualsiasi altra musica dionisiaca è accedere ad uno stato modificato di coscienza,questo sarebbe lo sballo. Perché c’è questo desiderio di “sballo”? Forse perché lo stato di coscienza ordinario è diventato insopportabile, la multidimensionalità dell’essere umano è precipitata in una unica dimensione,come aveva visto Marcuse, la dimensione lavorativa.
Futuri collassati
Di  più, nella nostra contemporaneità, chi non ha un lavoro, e sono tanti, non ha coscienza, ed  è privo di quella che chiamo identità analogica cioè una dimensione storica di se stesso. Il futuro per lui e’ già collassato ma scompare anche il passato ed emerge una identità digitale puntiforme che si costruisce nel momento che si sta vivendo. Tutto il movimento techno e’ un movimento di dissociazione collettiva dallo stato di coscienza ordinario. Non è certamente psicopatologia.

La stanza di un Hikikomori
     Ma   anche      quest o  
  movimento
che dura da più di venti anni e’ in fase discendente, la tendenza emergente e’ un altra molto più inquietante. Si tratta di un isolamento in casa, una chiusura al mondo e a qualsiasi socialità che non sia una connessione internet. In Giappone ci sono già più di un milione di Hikikomori (termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento per rifugiarsi decisamente nel Web).
Aumentano   i suicidi
E' un dato emergente giovanile e si diffonde sempre di più quella che Soren Kierkegaard chiamava la malattia mortale, cioè la disperazione. In questo panorama desolante che ci siano moltitudini che ballano e cercano di modificare il loro stato di coscienza è un sintomo di salute non certo una psicopatologia. .


               Quelli   si fanno    esplodere
per un     paradiso futuro

Soren Kierkegaard 
Il ballo è, come mostrava il Living Theatre, Paradise now. Bisogna però capire che per produrre uno stato di dissociazione nella era della globalizzazione sono necessari degli induttori, gli induttori non necessariamente sono delle sostanze, possono essere la moltitudine delle persone, le luci stroboscopiche, la massa, gli odori, i profumi, ma soprattutto la musica che arriva dritta alla testa e al cuore. La frequenza dei BPM il volume dei bassi, la sapienza dei DJ nella manipolazione e mescolamento delle piste sonore in relazione alla moltitudine danzante. E poi, appunto, il ballo per tante ore. Tempo che si vuole vivere ma è come essere assenti e il cuore a quel punto potrebbe complicare di non poco la situazione. Passare la notte ballando in uno spazio del genere produce uno stato dissociato che genera fenomeni specifici come una forma di comunicazione non verbale molto intensa.









Illuso popolo
bonalisa
Alla   techno si è associata l’extasy, il Mdma ma lo scopo profondo che convoca le moltitudini ad una festa techno non è l’assunzione della sostanza ma l’accesso ad uno stato modificato di coscienza. Se si trasforma in altro siamo di fronte ad una eterogenesi dei fini.
E' assolutamente necessario riuscire a parlare di tutto questo perché una azione repressiva come la chiusura del Cocoricò non si trasformi nell’ennesima campagna proibizionista e perbenista dei Catoni contemporanei. E' fondamentale diffondere la strategia della riduzione del danno. Cosa pensano di chiudere tutte le discoteche perseguitare i rave party e obbligare i giovani ad ascoltare musica classica o il triste rock di cantanti e gruppi settantenni, che ascoltavano i loro nonni?
Diffusione     dei culti   greci
Nel 186
avanti Cristo il senato romano proibì la celebrazione dei baccanali. I baccanali erano feste in onore di Bacco, che in Grecia è conosciuto come Dioniso in cui si beveva vino si ballava in un clima orgiastico per raggiungere uno stato modificato di coscienza in cui poteva avvenire la possessione rituale da parte delle divinità. Le feste erano caratterizzate da musica che veniva ballata da maschi e femmine.
 Il polverone   di Catone
Nel senato romano prevalse la tendenza di Catone e della oligarchia senatoria che vedeva in queste feste un pericolo perché gli uomini ballando si effeminavano e le donne che partecipavano si trasformavano in prostitute non adatte ad essere madri di famiglia romana. Qualcuno ha visto nella repressione di questi culti un attacco politico al circolo degli Scipioni che favoriva una diffusione dei culti greci e una promozione delle classi più basse in una ottica di allargamento della cittadinanza romana.
*Leonardo Montecchi
Psichiatra, psicoterapeuta, nato a Novafeltria nel 1952 lavora nel campo delle dipendenze patologiche dal 1978. Ha contribuito a fondare la cooperativa CentoFiori che a Rimini gestisce la comunità terapeutica di Vallecchio, il centro diurno di via Portogallo 10 e l'appartamento di reinserimento. Ha fondato e dirige la scuola di prevenzione, psicanalisi operativa e concezione operativa di gruppo J.Bleger. www.bleger.org è editor della rivista www.pol-it per la parte dipendenze. E' socio della associazione internazionale di psicoterapia di gruppo. Dirige la collana i sintomi della salute per Pitagora di Bologna